I DOLORI DEL GIOVANE REMCO: UNA POESIA OLANDESE SUL CALCIO
- maximminelli
- 5 apr
- Tempo di lettura: 9 min

Fra i tanti idoli della mia infanzia da tifoso di calcio c´era lui: Johann Crujff, il „Profeta del Gol“, come lo celebrava un indimenticabile documentario di Sandro Ciotti uscito a metà degli anni Settanta. Era l´epoca del „calcio totale“, della rivoluzione venuta dall´Olanda, che trovò ovunque tanti adepti. Anche in Italia, pur se con qualche anno di ritardo. Quella splendida “Arancia Meccanica”, che aveva incantato un bambino ingenuo e appassionato di calcio come me, mancò però l’appuntamento più importante: la finale dei Mondiali del 1974 contro l’altrettanto memorabile Germania Ovest di Franz Beckenbauer e Gerd Müller. Fu una domenica di luglio dolorosa, la seconda grande delusione calcistica nel giro di poche settimane, dopo l’eliminazione della Nazionale azzurra da quello stesso torneo.
Sono rimasto un grande fan del calcio olandese, ne ho seguito gli alti e bassi, le entusiasmanti imprese, come quella agli Europei 1988, coronati con la vittoria proprio all´Olympiastadion di Monaco di Baviera, lo stesso della sconfitta mondiale, e le altrettanto cocenti insuccessi. Per me giocatori come Marco Van Basten, Ruud Gullit, Dennis Bergkamp, Ruud van Nistelrooy o Arjen Robben - per citarne solo alcuni - rimangono esempi della bellezza del calcio di un piccolo paese, che, da mezzosecolo è tra le potenze mondiali di questo sport.
Un sogno in maglia arancione
Così con curiosità e molta simpatia ho scoperto su Netflix (in originale olandese con sottotitoli in tedesco, un´esperienza quasi fantozziana), con 20 anni di ritardo, una preziosa gemma del cinema sportivo, che merita di essere riscoperta e che ha come punto centrale proprio il sogno in arancione di un ragazzino di un quartiere periferico di Amsterdam.
In Oranje, film del 2004 diretto da Joram Lürsen, va oltre i confini del tradizionale film sportivo per offrire una riflessione profonda sull'identità, la perdita e la ricerca di significato attraverso la passione per il calcio. In un'epoca in cui il cinema sportivo tende spesso a celebrare epicamente la gloria e il successo, questa pellicola sceglie la strada dell´intimità, raccontando con delicatezza quanto lo sport possa essere un veicolo di elaborazione emotiva e rinascita interiore.
Al centro della narrazione troviamo Remco van Leeuwen (Yannick van der Velde), un talentuoso dodicenne olandese con un sogno nel cuore: indossare l'ambita maglia arancione della nazionale dei Paesi Bassi, la leggendaria Oranje. In Olanda, questa aspirazione rappresenta quasi un rito di passaggio per molti giovani calciatori, un obiettivo che incarna l'orgoglio nazionale e la passione collettiva per il calcio.
Remco cerca di imparare a memoria l´inno nazionale (e il suo per lui curiosissimo testo, che richiama la complessa storia del suo paese), in camera ha un immenso poster della nazionale arancione del 1988, dorme con un pallone al posto del cuscino. Insomma tutto nella sua quotidianità ruota intorno al „Voetbal“.

Non è solo un ragazzino con un pallone tra i piedi, ma un giovane determinato e disciplinato. La sua tecnica viene affinata quotidianamente sotto lo sguardo attento del padre Erik (Thomas Acda), che rappresenta per lui non solo un allenatore esigente, ma anche una guida affettiva fondamentale. Il loro rapporto, fatto di complicità e di rispetto reciproco, viene raccontato con delicatezza attraverso momenti di allenamento intenso alternati a scene di tenerezza familiare. Erik è sempre presente: segue il figlio ad ogni partita, lo istruisce da bordo campo, polemizza con l´allenatore, si accalora con l´arbitro. Insomma, il classico padre tifoso, come se ne vedono sui campi di tutto il mondo.
Il film ci mostra come il talento di Remco cresca giorno dopo giorno: i dribbling diventano più efficaci, i tiri più precisi, la visione di gioco più matura. Ogni progresso è condiviso e celbrato con ill padre, creando un legame che va ben oltre quello sportivo. Attraverso il calcio, padre e figlio comunicano, condividono emozioni, costruiscono un rapporto speciale che sembra indistruttibile.

Come il padre del grande Johann Crujff, anche Erik gestisce un negozio di frutta e verdura, e ha alle spalle un passato da calciatore dilettante. Per questo, si sente a guidare il figlio con fermezza, insegnandogli – tra le altre cose – l´importanza di usare entrambi i piedi, come avevano fatto tutti i migliori calciatori olandesi (lo stesso Crujff, Van Basten, Bergkamp, Kluivert e altri ancora).
Ma la vita, proprio come una partita di calcio, può riservare svolte improvvise e drammatiche. Un evento tragico sconvolge completamente gli equilibri nella vita di Remco: e anche qui il parallelismo con il giovane Crujff è palese. Infatti, come conseguenza di un infarto, Erik muore ancora giovane e lascia la moglie Sylvia (Wendy van Dijk), Remco e la piccola Lisa (Valerie Dupont) senza supporto, soprattutto economico.
Il calcio come linguaggio dell'anima
È il ragazzo che sembra subire il contraccolpo più forte: si trova improvvisamente solo, privato non solo della figura paterna ma anche della sua guida sportiva, del suo primo tifoso, del suo punto di riferimento più importante: Remco perde in definitiva il suo mondo.
Da questo momento cruciale, il film cambia registro e il calcio assume un significato più profondo: non è più soltanto un gioco o un possibile futuro professionale, ma diventa memoria, salvezza e ponte emotivo che mantiene vivo il legame con il padre scomparso. La bellezza di In Oranje risiede proprio nella sua capacità di intrecciare il percorso sportivo del protagonista con una riflessione autentica sul dolore, sull'elaborazione del lutto e sulla determinazione nel perseguire i propri sogni anche quando tutto sembra perduto.
Remco deve affrontare non solo il vuoto lasciato dalla perdita, ma anche le sfide pratiche: chi lo allenerà ora? Come manterrà viva la passione senza il suo primo sostenitore? Chi gli darà istruzioni e incitamenti al bordo del campo? Come potrà continuare a credere nel suo sogno quando la persona che più ci credeva non c'è più?
Il film racconta con sensibilità il processo di adattamento del giovane protagonista: i momenti di sconforto in cui il pallone sembra aver perso ogni attrattiva, le prime sessioni di allenamento solitario, piene di rabbia e frustrazione, il lento ritrovare nel gioco non solo una passione ma anche un modo per sentirsi ancora vicino al padre.
Tra realismo e magia
Un elemento che rende il film particolarmente toccante è la componente fiabesca che il regista introduce con delicatezza: Remco è convinto di ricevere segnali e comunicazioni dallo spirito del padre, che continua a guidarlo nelle scelte sul campo e nella vita. Lo vede, è lui che lo istruisce negli allenamenti solitari in un cortile vicino a casa sua. Durante le partite, in momenti di difficoltà, il ragazzo percepisce di nuovo la presenza del genitore a bordo campo, sente la sua voce che lo incoraggia, interpreta eventi casuali come messaggi specifici che lo guidano verso le scelte giuste. Addirittura, in una lunga sequenza quasi onirica, il fantasma di Erik fa incontrare Remco con alcuni campioni del passato, tra cui il suo idolo di gioventù, il brasiliano Garrincha.

Questo tocco di magia non spezza il realismo della narrazione, ma la arricchisce, rendendola poetica e accessibile anche ai più giovani, senza mai sminuire la gravità dei temi trattati. Non si tratta di effetti speciali o di derive soprannaturali, ma di un espediente narrativo che permette allo spettatore di entrare nel cuore e nella mente di un ragazzino che cerca, a modo suo, di sopravvivere a una perdita immensa.
Il cammino verso la nazionale
Parallelamente all'elaborazione del lutto, il film segue il percorso sportivo di Remco verso il suo grande obiettivo: le selezioni per entrare nella nazionale giovanile olandese. Questo cammino è pieno di ostacoli: la mancanza della guida paterna, come accennato, la necessità di adattarsi a nuovi allenatori, la competizione con altri giovani talenti, i momenti di sfiducia in se stesso.
In più sulla carriera di Remco si addensa un´altra nube ancora più cupa: i legamenti della sua caviglia destra sono deboli, potrebbero provocare in futuro un´invalidità permanente. Un particolare che rimanda inevitabilmente alla sfortunata carriera di Marco Van Basten, interrotta anzitempo proprio per la fragilità degli arti inferiori del fuoriclasse olandese. Grazie alla complicità di una compagna di classe, Anneke (Maalke Polder), che ha un debole per lui, Remco, però, riesce a nascondere il problema alla madre e può continuare a giocare.
Le scene dedicate agli allenamenti e alle partite sono girate con realismo e competenza tecnica, rendendo credibili sia il talento del protagonista che le difficoltà che incontra. Il regista non cade nella tentazione di trasformare Remco in un supereroe del calcio: il ragazzo ha talento, ma deve lavorare duramente, deve superare momenti di blocco, deve imparare a gestire la pressione.
La tensione cresce quando finalmente arriva il momento dei tanti attesi provini per la nazionale, programmati allo stadio Olimpico di Amsterdam. Assistiamo a sequenze cariche di suspense ed emozione, alternando momenti di gioco a primi piani che catturano l'intensità emotiva del protagonista. Ogni passaggio riuscito, ogni tiro, ogni decisione sul campo diventa metafora del suo percorso interiore, della sua capacità di affrontare le difficoltà e di trovare in sé stesso la forza che prima cercava nel padre.

Anche se deve uscire dal campo anticipatamente, per un brutto intervento di un avversario proprio sulla caviglia più fragile, Remco ha fatto colpo sugli osservatori della federazione calcio olandese. Riceverà la convocazione per rappresentare i Paesi Bassi nella nazionale U12. Indossando l´agognata maglia „oranje“ scenderà in campo contro i pari età del Brasile e potrà cantare quello strano inno, che parla di principi e di re stranieri. Il padre, il suo fantasma, seduto sul tetto di una tribuna, provvederà a ricordargli l´ultimo verso. E sparirà per sempre…
Il mondo intorno a Remco
In Oranje non si limita a esplorare il rapporto tra Remco e il calcio, ma dedica spazio anche alle relazioni che circondano il protagonista: la madre che, pur non comprendendo fino in fondo la passione del figlio, lo sostiene nei momenti difficili; il nuovo potenziale compagno della madre, Arend (Peter Blok), che cerca con rispetto di trovare un proprio spazio nella vita del ragazzo; l'allenatore che riconosce il suo talento ma pretende disciplina e impegno; gli amici e compagni di squadra che rappresentano ora supporto ora competizione.
Tra questi spicca soprattutto Winston (Dionicho Musket), sicuramente l´unico vero amico di Remco, che con lui condivide la passione per il calcio ed è dotato pure lui di molto talento. Non solo, ma, provenendo da una famiglia del Suriname (come Ruud Gullit, e non è una mera coincidenza, come è evidente anche in altri elementi narrativi del film), mette Remco in contatto con i rituali caraibici per evocare i defunti. Se nell´immediato Erik non manda segnali dall´aldilà, ma, come visto, poi diventerà una compagnia invisibile per gli altri, ma non per Remco.
Particolarmente toccante è l'evoluzione del rapporto tra Remco e la madre, che dopo la morte del padre deve reimparare a comunicare con il figlio, trovando un equilibrio tra il rispetto per il suo dolore e la necessità di aiutarlo a guardare avanti. In alcune delle scene più intense, i due personaggi trovano proprio nel calcio – che era stato dominio esclusivo del padre – un nuovo terreno di incontro e comprensione reciproca.
Sport come specchio della vita
Pur presentandosi come un film sul calcio, In Oranje è in realtà una profonda riflessione sulla vita stessa. I protagonisti non sono semplicemente appassionati dello sport: sono persone con fragilità, difficoltà quotidiane e sogni. Il film esplora come lo sport possa fungere da via di fuga, ma anche da specchio che riflette la realtà, costringendo i personaggi ad affrontare aspetti della propria esistenza che altrimenti potrebbero rimanere nascosti.
Ogni partita diventa metafora della vita, con sfide imprevedibili, momenti di esaltazione e inevitabili delusioni. Il calcio si trasforma così in un linguaggio dell'anima, un mezzo per elaborare il dolore, per crescere senza perdere la speranza, per trovare un senso anche nelle situazioni più difficili.
Una lezione silenziosa ma potente
Sebbene In Oranje sia classificato come film per famiglie, la sua narrazione ben costruita e la profondità dei temi trattati lo rendono una visione preziosa anche per un pubblico adulto. Gli appassionati di calcio ritroveranno la passione autentica che nasce nei campetti di periferia, lontana dai riflettori dei grandi stadi e dai contratti milionari. Gli amanti del cinema apprezzeranno una storia raccontata con misura e sensibilità, dove ogni personaggio contribuisce con chiarezza allo sviluppo della trama senza mai risultare stereotipato.

Questa pellicola ci ricorda che dietro ogni tifoso, dietro ogni partita, c'è un essere umano che cerca di dare un senso alla propria esistenza. Il film celebra lo sport come esperienza sia collettiva che profondamente personale, un viaggio che trascende il campo da gioco per esplorare il cuore stesso della vita.
Premiato in alcuni festival internazionali, il film è adatto per tutti coloro che credono nello sport come portatore di valori, non solo di risultati. In un'epoca in cui lo sport viene spesso ridotto a statistiche e risultati, In Oranje ci ricorda che la vera essenza del gioco risiede nella sua capacità di unire, di ispirare e di guarire anche le ferite più profonde. Una storia che insegna a non arrendersi mai, nemmeno quando sembra che tutto sia perduto – proprio come nelle partite più difficili, quando il gol della vittoria può arrivare all'ultimo minuto, cambiando improvvisamente il corso degli eventi.
Questo piccolo gioiello cinematografico dai Paesi Bassi, pur essendo passato sotto traccia al momento della sua uscita, almeno in Italia e in altri paesi europei, merita di essere riscoperto e apprezzato per la sua capacità di raccontare, attraverso il calcio, storie universali di persone, sogni e speranze.
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