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L´ALLENATORE IDEALE: GENE HACKMAN E IL BASKET DELL´AMERICA PROFONDA




Con la scomparsa di Gene Hackman lo scorso febbraio, all'età di 95 anni, il cinema ha perso uno dei suoi interpreti più iconici e versatili. Vincitore di due premi Oscar, Hackman ha lasciato un'impronta indelebile in numerosi generi cinematografici, dai thriller polizieschi ai western revisionisti. Ma c'è un aspetto della sua carriera che merita particolare attenzione: la straordinaria capacità di dare vita a personaggi indimenticabili in film sportivi che, a modo loro, hanno lasciato il segno nella storia del genere. In quest'articolo esploreremo la sua performance nel ruolo dell'allenatore di basket Norman Dale in Colpo Vincente (Hoosiers, 1986), diretto da David Anspaugh, che sicuramente rappresenta una pietra miliare nella cinematografia dedicata al basket.


L'uomo dietro l'allenatore


Nato il 30 gennaio 1930 a San Bernardino, in California, Gene Hackman ha avuto un percorso tutt'altro che convenzionale verso il successo. Prima di diventare una stella di Hollywood, aveva servito nei Marines per poi svolgere diversi lavori. Questa esperienza di vita reale ha conferito ai suoi personaggi una dimensione di autenticità che pochi attori hanno potuto e possono vantare.

Inoltre, almeno in gioventù, Hackman era stato uno sportivo praticante. Dopo aver giocato proprio a basket nella squadra scolastica, ha praticato football americano e atletica leggera. Nei tempi della maturità la passione per lo sport fu limitata da problemi ad un ginocchio. Così, come ebbe a ricordare lo stesso attore in interviste del 1986, non gli restava che guardarsi gli incontri dei suoi sport preferiti alla televisione.


Alla luce di questo passato sportivo, tuttavia, si può affermare che, quando Hackman interpretava un allenatore o una figura legata al mondo dello sport, come in Colpo Vincente, non stava semplicemente recitando: attingeva infatti a quella miscela unica di durezza e vulnerabilità che lo caratterizzava come uomo e, naturalmente, come ex-sportivo. Non era stato un atleta professionista, ma il suo fisico imponente e quell'aria da "uomo comune" lo rendevano perfetto per ruoli che richiedevano autorità, suscitavano rispetto, ma avevano anche un tocco di umanità.

La carriera di Gene Hackman si era conclusa nel 2004, dopo due Oscar (Il braccio violento della legge e Gli spietati) e decine di ruoli memorabili, tra cui quello dell'agente FBI in Mississippi Burning di Alan Parker. Il tributo di Morgan Freeman agli Oscar del 2025 ha riassunto il sentimento di molti: "Abbiamo perso un gigante, ma il suo talento vivrà per sempre."


Un'America dimenticata che ritrova la voce


Colpo Vincente ci trasporta nella piccola Hickory (in realtà una località di finzione), Indiana, anno 1951. La fotografia di Fred Murphy cattura magistralmente l'essenza dell'America rurale del dopoguerra: toni marroni e dorati, paesaggi aperti, silos di grano che si stagliano contro cieli infiniti. Non è solo l'ambientazione di una storia di basket, ma un personaggio a sé stante che respira nostalgia per un'America che stava rapidamente scomparendo.



In questa cittadina avvolta in un apparentemente perenne grigio autunnale, il basket non è solo uno sport, ma una vera e propria religione. Qui tutto ruota intorno alla squadra della locale high-school, orgoglio di una comunità che si raccoglie ogni fine settimana nella palestra locale, o si trasferisce letteralmente per seguire le trasferte nei centri vicini.


Ciò che rende speciale questo film è la sua fedeltà alla cultura cestistica dell'Indiana, uno stato dove il basket non è solo uno sport, ma un collante sociale che unisce comunità spesso isolate e dimenticate dal resto del paese. Angelo Pizzo, sceneggiatore originario dell'Indiana, ha infuso nella storia un realismo quasi documentaristico, catturando l'ossessione quasi mistica di queste comunità per la pallacanestro.


Una favola di redenzione e sfide impossibili


Convocato da un suo vecchio amico, direttore del locale liceo, Norman Dale (Gene Hackman) arriva in questo microcosmo come un outsider dal passato ingombrante: anni prima, infatti, era stato espulso dalla NCAA per aver aggredito un giocatore durante una partita. Ora, grazie all'intervento dell'amico, che ha ancora fiducia in lui, Dale riceve quella che potrebbe essere l'ultima possibilità di redenzione professionale e personale.



Il nuovo allenatore, tuttavia, si trova immediatamente di fronte a una serie di ostacoli. Innanzitutto, la diffidenza della comunità, gelosa delle proprie tradizioni cestistiche e sospettosa verso qualsiasi cambiamento, anche tattico. Significativa in questo senso la scena della barberia locale, dove lo sventurato Dale è sottoposto al fuoco di fila dei maggiorenti del paese.

Poi deve fare i conti con una squadra decimata: solo sette giocatori si presentano agli allenamenti, e nessuno di loro sembra particolarmente dotato di talento naturale. Come se non bastasse, il miglior giocatore della città, Jimmy Chitwood, alle prese con problemi familiari, ha anche deciso di abbandonare il basket dopo la morte del precedente allenatore, a cui era molto legato.

Gli approcci non convenzionali di Dale suscitano rapidamente l'opposizione degli abitanti di Hickory. Quando decide di far giocare la squadra con una difesa a zona e un attacco metodico basato sui passaggi piuttosto che sulle individualità, i genitori e i tifosi insorgono, abituati a un gioco più spettacolare. Durante uno dei primi incontri, Dale fa addirittura espellere uno dei suoi giocatori, reo di aver ignorato le sue istruzioni, ritrovandosi a giocare in quattro contro cinque e perdendo inevitabilmente l'incontro.

A complicare ulteriormente la situazione c'è Myra Fleener (Barbara Hershey), un'insegnante determinata a proteggere Jimmy Chitwood dalle pressioni della città che lo vorrebbe di nuovo in campo. Myra è convinta che Jimmy debba concentrarsi sul suo futuro scolastico piuttosto che sul basket, e vede in Dale un potenziale ostacolo a questo obiettivo. Tra i due nasce una tensione che gradualmente si trasforma in rispetto reciproco e, infine, in un legame più profondo.


Dennis Hopper e la redenzione parallela


Un punto di svolta arriva quando Dale incontra "Shooter" (Dennis Hopper), "Colpo in canna" nella versione italiana, padre alcolizzato di uno dei giocatori della squadra e un tempo lui stesso eccellente cestista. Riconoscendo in lui sia la conoscenza del gioco che un disperato bisogno di riscatto, Dale gli offre il ruolo di assistente allenatore, a condizione che smetta di bere. Questa mossa suscita altre polemiche nella comunità, ma si rivela fondamentale per il futuro della squadra.



Shooter è il riflesso oscuro di Dale: entrambi uomini di talento distrutti dai propri demoni, entrambi in cerca di una seconda possibilità. Ma mentre Dale ha ottenuto la sua chance grazie a un amico, Shooter è intrappolato in un ciclo di autodistruzione da cui sembra impossibile uscire. La loro relazione diventa il cuore emotivo del film, superando persino la storia d'amore appena accennata tra Dale e Myra.


Il momento in cui Dale offre a Shooter la possibilità di diventare suo assistente è carico di significato: non è solo un atto di gentilezza, ma un riconoscimento del valore dell'altro, un modo per dire "vedo la persona che sei oltre i tuoi fallimenti". In un film ambientato nell'America conservatrice degli anni '50, questa relazione tra due uomini feriti che si aiutano a guarire rappresenta una rara e toccante esplorazione della vulnerabilità maschile.

Vale la pena notare che Hopper fu nominato all'Oscar per questa performance, una delle sue più controllate e toccanti, in cui dimostra una fragilità raramente vista nei suoi ruoli precedenti.


Il percorso verso la vittoria


Con il passare delle settimane, i metodi di Dale cominciano a dare risultati. I ragazzi sviluppano disciplina, spirito di squadra e fiducia nelle proprie capacità. Non mancano, però, gli screzi, le incomprensioni, le scelte ritenute sbagliate, che portano la comunità di Hickory ad un incontro pubblico per votare la rimozione di Dale dall'incarico. Quando tutto sembra deciso, ecco che prende inaspettatamente la parola proprio Jimmy Chitwood, che annuncia il suo ritorno in squadra, a patto che Norman Dale rimanga l'allenatore. In tal modo di fatto rovescia l'esito della prima votazione e permette al trainer di poter continuare il proprio lavoro.



Con Jimmy tornato sul campo di gioco gli Hickory Huskers (questo il nome della squadra) iniziano una strepitosa serie di vittorie che li porta fino alle finali dello stato dell'Indiana. Il viaggio a Indianapolis, dove si tiene il match decisivo del torneo, rappresenta per molti ragazzi la prima uscita dalla cittadina. Il contrasto tra la loro palestra minuscola e l'imponente arena della capitale è sconvolgente, tanto che Dale deve prendere le misure del campo per dimostrare ai suoi giocatori che, nonostante le apparenze, le dimensioni sono le stesse di quelle su cui si allenano ogni giorno.

Per arrivare a quell'appuntamento gli Huskers hanno dovuto superare avversari sempre più forti. Ora di fronte si trovano i South Bend Central Bears, una squadra proveniente da una scuola molto più grande, con giocatori più alti, più forti e più esperti. Il match è tiratissimo, fino all'ultimo respiro. Chi non ha potuto seguire la squadra di persona, segue la cronaca dell'incontro alla radio. Tra questi Shooter, ricoverato in una clinica dopo essere tornato a bere e avere rischiato la vita.

La tensione aumenta man mano che ci si avvia agli istanti finali dell'incontro. Negli ultimi secondi, con il punteggio in parità, Dale chiama un timeout e disegna un'azione per Jimmy Chitwood. Quando gli altri giocatori esprimono preoccupazione perché Jimmy sarà sicuramente marcato stretto, il coach chiede direttamente a Jimmy se si sente di prendere il tiro decisivo. La risposta laconica ma sicura del ragazzo ("Lo metterò") rappresenta uno dei momenti più iconici del film. E così accade: Jimmy segna il canestro della vittoria allo scadere, coronando l'improbabile favola degli Hickory Huskers e la redenzione personale di Norman Dale.


Il basket come linguaggio cinematografico


Ciò che distingue Colpo Vincente da molti altri film sportivi è il modo in cui le sequenze di gioco sono filmate e integrate nella narrazione. Anspaugh evita i cliché del genere: non ci sono ralenti esagerati, musiche pompose o momenti sovrannaturali. Il basket è ripreso in modo quasi documentaristico, con un'attenzione particolare ai dettagli tecnici e all'intensità fisica del gioco.

Le partite non sono semplici vetrine per sequenze spettacolari, ma estensioni del dramma umano che si svolge fuori dal campo. Ogni punto segnato, ogni difesa riuscita racconta qualcosa dei personaggi e della loro evoluzione. Il famoso tiro finale di Jimmy Chitwood è efficace proprio perché costruito su un personaggio che abbiamo imparato a conoscere, non su un effetto speciale o un colpo di scena improbabile.




In particolare colpisce la durezza del gioco: le gomitate nello stomaco, i colpi bassi, le piccole frasi che innervosiscono l'avversario, le risse. Per non parlare delle sfuriate di Dale contro gli arbitri. Tutto questo viene reso adeguatamente dal regista, con ciò offrendo l'idea di quanto poco spirito sportivo regnasse nel basket scolastico statunitense dell'epoca.

La colonna sonora di Jerry Goldsmith, con il suo tema principale semplice ma evocativo, completa l'esperienza, evitando l'eccesso emotivo per creare un sottofondo che valorizza le performance degli attori senza sopraffarle.


La magia dei discorsi motivazionali


Particolarmente efficaci sono le scene in cui Norman Dale interagisce con la squadra. I suoi discorsi motivazionali misurati - mai eccessivamente sentimentali - risultano autentici e coinvolgenti. Il critico Roger Ebert scrisse nella sua recensione: "Hackman non interpreta un semplice allenatore, ma un uomo che si aggrappa al basket come a un'ultima occasione per dare un senso alla sua vita."

Questo film ha avuto un impatto culturale enorme negli Stati Uniti, tanto che nel 2001 l'American Film Institute lo ha inserito nella lista dei 100 film più ispiratori di sempre. Il discorso motivazionale di Hackman prima della partita finale è diventato un modello di leadership studiato nelle scuole e nelle università.


Gene Hackman: l'allenatore imperfetto


Al centro di questo microcosmo troviamo Norman Dale, interpretato da un Gene Hackman in stato di grazia. Hackman non interpreta semplicemente un allenatore, ma dà vita a un uomo spezzato che cerca un'ultima chance di redenzione. Il suo Dale è un personaggio complesso, a tratti irascibile e testardo, lontano anni luce dalla figura dell'allenatore-eroe che il cinema sportivo ci ha spesso proposto.



La grandezza dell'interpretazione di Hackman sta nei dettagli: il modo in cui il suo sguardo tradisce vulnerabilità dietro una facciata di durezza, la tensione delle sue spalle quando affronta l'ostilità della comunità, la calma studiata con cui gestisce i momenti critici. Non è un caso che molti considerino questa una delle sue performance più sottovalutate, proprio perché così naturale da sembrare invisibile.


Hackman non interpretava mai eroi perfetti. I suoi personaggi erano pieni di difetti - irascibili, testardi, a volte cinici - ma è proprio questo che li rendeva così veri. E poi c'è il suo stile: Hackman non aveva bisogno di urlare per farsi ascoltare. Bastava un'occhiata, un mezzo sorriso, una pausa ben piazzata. Sullo schermo, diventava l'allenatore che tutti vorremmo avere, quello che ti spinge a dare il massimo anche quando pensi di non farcela più.


La provincia profonda americana: dove nascono le star dello sport


In un'intervista rilasciata a "L'Unità" in occasione dell'uscita italiana del film, Hackman dichiarò: "All'inizio avevamo qualche timore. Per questo la distribuzione aveva deciso di puntare sui piccoli centri e, prima di tutto, proprio sull'Indiana, dove il basket non vi tradisce mai. Ma la pellicola è piaciuta anche a New York, dove c'è un pubblico più esigente. È sicuramente vero che negli ultimi anni, se escludiamo la fortunata serie Rocky, interpretata da Sylvester Stallone, personaggio più di fantasia che ispirato da un modello reale, le fiction nate nell'ambiente sportivo non hanno goduto di grandi favori."




La bella vicenda piuttosto romanzesca dei giocatori degli Huskers e del loro trainer, al di là degli aspetti più letterari, era in realtà ispirata alla vera epopea dei cestisti della Milan High School, che proprio in Indiana, ma nel 1954, raggiunsero il successo nel campionato statale sotto la guida dell'allenatore Bobby Knight, che ha rappresentato il modello su cui Hackman ha costruito il proprio personaggio.


"Per interpretare la parte – affermò Hackman - mi sono documentato su di lui, ma nell'Indiana ci sono molti personaggi meno famosi che hanno le stesse caratteristiche, la stessa dura scorza, lo stesso carisma." Hackman, che era cresciuto nel non lontano Illinois, conosceva bene lo spirito che accompagnava gli avvenimenti sportivi nei centri di provincia simili a quello descritto nel film. "Magari a qualcuno potranno apparire esagerate la passione e l'attaccamento di quella gente per questo sport. Ma vi assicuro, è proprio così, la pallacanestro è una ragione di vita, un modo per rompere la routine provinciale."


Una squadra di outsider


Gli Hickory Huskers non sono atleti eccezionali. Sono ragazzi normali di una piccola comunità agricola, ognuno con le proprie insicurezze e problemi. Il film non romanticizza eccessivamente le loro capacità atletiche, ma si concentra sulla loro crescita umana. I giocatori non diventano improvvisamente superstar, ma imparano a valorizzare i propri punti di forza e a compensare le debolezze attraverso il gioco di squadra.


Jimmy Chitwood (interpretato da Maris Valainis) rappresenta l'eccezione: è il talento naturale che potrebbe fare la differenza. Ma anche la sua storia è complessa, segnata dal lutto e dall'insicurezza. La sua trasformazione da ragazzo isolato a leader silenzioso è uno degli archi narrativi più convincenti del film, e avviene quasi interamente attraverso gesti e sguardi, con dialoghi ridotti al minimo indispensabile.


Un'eredità che resiste al tempo


A quasi quarant'anni dalla sua uscita, Colpo Vincente continua a essere studiato nelle scuole di cinema e citato da allenatori professionisti come esempio di leadership efficace. La sua influenza si estende ben oltre il genere sportivo, avendo ispirato numerosi film sulla redenzione personale e sul potere delle comunità unite.

Parte del suo fascino duraturo risiede nella sua autenticità: basato sulla vera storia della Milan High School del 1954, il film evita di cadere nell'eccessiva mitizzazione tipica di molte storie "ispirate a fatti reali". Non ci sono nemici da cartone animato o ostacoli insurmontabili, solo persone reali che affrontano sfide reali.



Agli occhi dello spettatore di oggi forse possono apparire poco spettacolari le sequenze di gioco, ma, al netto della tecnica disponibile all'epoca, si può affermare che il regista sia riuscito pienamente a dare l'idea di cosa fosse il gioco della pallacanestro nelle piccole palestre della provincia americana 70 anni fa. E probabilmente non molto è cambiato a quel livello.


Pochi anni fa il giornalista americano Colin Cowherd in un'intervista televisiva ha definito Colpo Vincente come uno dei tre migliori film sportivi di sempre. In un panorama cinematografico contemporaneo sempre più dominato da universi fantastici e realtà aumentate, Colpo Vincente resta un potente promemoria della forza delle storie semplici raccontate con onestà e profondità emotiva. Non è solo un grande film sul basket: è un grande film americano che usa il basket come lente per esplorare temi universali di fallimento, perseveranza e redenzione.


E se mai vi capitasse di rivedere Colpo Vincente, fateci caso: dietro ogni canestro c'è lui, Gene Hackman, con quel suo sguardo che dice tutto. Un vero fuoriclasse, dentro e fuori dal set, che ha fatto di uno sport al cinema qualcosa di profondamente umano ed eternamente ispiratore.

 

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