PLACCAGGI E CELLULOIDE: IL RUGBY NEL CINEMA ITALIANO
- maximminelli
- 31 gen
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Oggi, venerdì 31 gennaio, si apre con il match Francia-Galles l´ennesima edizione del tradizionale Torneo delle 6 Nazioni di Rugby, appuntamento immancabile per gli appassionati (relativamente pochi in Italia, molti di più in Francia e nelle isole britanniche) che si disputa da quasi un secolo e mezzo a inizio anno solare. Gli Azzurri esordiranno domani pomeriggio sul leggendario prato di Murrayfield a Edinburgo contro la Scozia.
Dal "Quattro" al "Sei" Nazioni
Nei primi tornei a partire dal 1882 si sfidavano le sole squadre europee che rappresetntavano l´Impero Britannico (Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda, che anche dopo la creazione della Repubblica Irlandese ha sempre messo insieme rugbisti della nuova entità statuale indipendente e dell´Irlanda del Nord, rimasta nel Regno Unito). Nel 1906 i maestri di Oltremanica hanno aperto le porte ai dirimpettai francesi, che a questo sport, almeno fino a pochi decenni fa, erano molto più affezionati che non al calcio. Fu l´inizio del „Cinque Nazioni“, che con questa formula è durato per molto tempo.
Con il nuovo millennio è stata la volta di noi italiani ad essere accolti in questo circolo esclusivo europeo della palla ovale, così che l´antico torneo si è trasformato nell´attuale „Sei Nazioni“. Ad onor del vero, a parte alcuni exploit qua e là nel tempo, da quella prima partecipazione nel 2000 il XV azzurro non ha raccolto molti allori contro i più quotati squadroni britannici, irlandesi e francesi. Anzi, più spesso la principale preoccupazione è stata di non portare a casa ancora una volta il poco onorevole „Cucchiaio di legno“, assegnato simbolicamente all´ultimo in classifica, arrivato in Italia per ben 18 volte.
Rugby e cinema italiano: non ci siamo mai tanto amati...
Nonostante tutto da anni si attende con ansia un´esplosione del rugby italiano. Non sono un esperto e, per questo, seguendo sporadicamente, ma con sincera curiosità e ammirazione, questo sport affascinante (e per niente violento, nonostante le apparenze), non sono in grado di valutare quanto gli sforzi della Federazione Italiana Rugby siano stati efficaci. Mi limito a osservare lo sport anche con la prospettiva di collegarlo con la sua rappresentazione cinematografica, documentaria e, in senso lato, fizionale. Qui mi limiterò ad un primo rapido sguardo su come la nostra cinematografia ha rappresentato, in modo più o meno diretto, il mondo della palla ovale, proprio in concomitanza con il calcio d´avvio del “6 Nazioni” 2025. Mi riprometto di tornare altre volte sul tema rugby, non solo in rapporto al cinema italiano, ma anche sulla sua presenza in film di altri Paesi.
Guardiamo quindi come il rugby ha provato a farsi largo nei film italiani. Mentre il calcio domina incontrastato e altre discipline, come il pugilato, hanno ispirato capolavori del nostro cinema, la palla ovale è rimasta spesso ai margini. Lo spazio che i registi italiani hanno dedicato a questo sport in fondo è direttamente proporzionale al seguito e all´attenzione che pubblico e media gli dedicano. I numeri di atleti e atlete che si impegnano a mantenere vivo e ampliare il bacino di utenza del rugby è in crescita, ma per la gran parte degli italiani, esclusi gli addetti ai lavori, rimane una disciplina quasi di nicchia. Soltanto i match del Sei Nazioni e le purtroppo non sempre felici partecipazioni ai Campionati del Mondo (che, come nel calcio, hanno cadenza quadriennale) richiamano di tanto in tanto le attenzioni mediatiche, ma niente di paragonabile con altri sport.
Quindi risulta difficiile andare a pescare qua e là in più di un secolo di cinema italiano immagini, storie o legami più indiretti che abbiano a che fare con il rugby. Tuttavia, un'analisi più approfondita rivela alcune interessanti incursioni del rugby nel mondo della settima arte italiana, offrendo anche uno spaccato dell'evoluzione di questo sport nel nostro paese.
Gli anni '90 e 2000: rugby come metafora

Dobbiamo attendere addirittura gli anni '90 per vedere il rugby emergere finalmente sul grande schermo in modo significativo. Asini (1999), diretto da Antonello Grimaldi e con Claudio Bisio come protagonista, utilizza il rugby come metafora della vita. Il film esplora temi come l'amicizia, la crescita personale e il confronto con le sfide della vita adulta. Il quarantenne Italo, praticamente disoccupato e ancora accasato in famiglia con madre e zia, impegna gran parte delle sue giornate al rugby, che ancora pratica in una squadra dilettantistica, l´A.S.R. di Milano. Essendo il più anziano del gruppo, assume il ruolo di allenatore-giocatore, impartisce lezioni di tecnica e di vita, ma non si rende conto di avere superato lo zenit da tempo e che sarebbe il caso, invece, di dedicarsi alle squadre giovanili. Trovatosi un po´ per caso a fare l´insegnante di ginnastica ai ragazzi ospiti di un collegio presso un convento di frati sulle colline marchigiano-romagnole, Italo ha la geniale idea di applicare i principi del rugby all´educazione di questi giovani difficili, pieni di problemi e con poca autostima.

La partita tra la squadra che Italo ha creato da questo gruppo di ragazzi e il team milanese in cui ha sempre giocato conclude il film attraversi un segnale di speranza e oltre che con un messaggio di grande amore e fiducia per il rugby. Naturalmente tra gli insegnamenti impartiti da Italo ai suoi giovani allievi non può mancare la leggendaria Haka degli All Blacks neozelandesi, che i ragazzi inscenano prima del match contro i più esperti rivali milanesi. Pur non essendo un film strettamente "tecnico" sul rugby, Asini riesce a coinvolgere e commuovere gli spettatori per lo spirito di cameratismo e di sfida personale che caratterizza questo sport e unisce anche la strana classe di allievi ribelli e indisciplinati con cui ha che fare il protagonista.

Un altro film che merita menzione è La lingua del santo (2000) di Carlo Mazzacurati. Ambientato a Padova, il film non è incentrato sul rugby, ma include all´inizio alcune scene significative ambientate nel mondo della palla ovale. Infatti Antonio, uno dei due personaggi principali, è un ex-giocatore professionista di rugby, che, ormai alla fine di una carriera piuttosto mediocre, viene impiegato solo per tirare i calci piazzati, in cambio di 100.000 lire: per il resto del match resta seduto in panchina a fumarsi una sigaretta. Il rugby è qui usato, oltre che per una prima caratterizzazione del personaggio, (tutto sommato un outsider, che può apparire come un fallito) anche per creare un elemento di ambientazione. Infatti a Padova, come in molti altri centri grandi e piccoli del Veneto, il rugby è uno sport popolare e molto diffuso, che ha poco da invidiare al calcio e per seguito e per numero di praticanti.
Il nuovo millennio: rugby finalmente protagonista?

Parallelamente alla sempre più maggiore presenza del rugby sulla scena mediatica, grazie in particolare alla citata partecipazione del XV Italiano al Torneo delle Sei Nazioni, il cinema Italiano, anche se non quello di primo piano, comincia a farsi affascinare dalla palla ovale e a dedicargli addirittura interi lungometraggi. Il primo interessante esempio è rappresentato da I cinghiali di Portici (2003), scritto e diretto da Diego Olivares. Si tratta della storia dei cosiddetti "Cinghiali di Portici", un gruppo di problematici ragazzi di una casa famiglia, avvicinatisi al rugby quasi per caso. Guidati da Ciro, un operatore con un passato da giocatore, questi giovani trasformano una spiaggia abbandonata in un campo improvvisato. Nonostante partano da zero, i "Cinghiali" si appassionano allo sport, scoprendo valori come il rispetto e il lavoro di squadra. Attraverso allenamenti e partite, i giovani protagonisti non solo migliorano nel gioco, ma acquisiscono anche un nuovo approccio alle sfide della vita, dimostrando come il rugby possa essere un potente strumento di riscatto sociale.

Dobbiamo aspettare il 2011 per un nuovo tentativo del cinema Italiano di mettere in scena il rugby. Si tratta di Il terzo tempo, opera prima di Enrico Maria Artale, presentato al Festival del Cinema di Venezia. Il titolo richiama uno dei rituali più affascinanti di questo sport, appunto il cosiddetto terzo tempo, vale a dire il dopopartita (ogni match è diviso in due tempi di 40 minuti), in cui i giocatori delle due squadre, messi da parte botte e placcaggi, si ritrovano insieme per una birra e quattro chiacchiere tra vecchi amici.
La pellicola di Artale racconta con profondità di un riscatto (forse l´ennesimo, ma è il bello del cinema!) attraverso lo sport. Al centro della trama è Samuel (Lorenzo Richelmy), un giovane dal passato turbolento. Cresciuto in una famiglia a dir poco complicata (padre assente e madre tossicodipendente), il ragazzo ha collezionato piccoli reati e frequenti soggiorni in strutture correttive.
La svolta arriva quando, ottenuta la semilibertà, il Samuele è assunto in un'azienda agricola dalle parti di Roma. Qui incontra Vincenzo (Stefano Cassetti), un assistente sociale vedovo, che diviso tra figlia e lavoro, ha nell'allenamento di una piccola squadra di rugby amatoriale un´ulteriore occasione per esprimere se stesso.
Inizialmente, tra i due scoccano scintille, ma non d'intesa! Tuttavia, con pazienza e dedizione, Vincenzo introduce Samuel nel mondo della palla ovale, assumendo quasi il ruolo di figura paterna. In che modo riesce a farlo innamorare nel rugby? Spiegando al giovane ribelle l'importanza del "terzo tempo", quel momento di convivialità post-partita che incarna lo spirito più autentico del rugby.
Come in molti film sportivi che si rispettino (pensate, ad esempio, allo stesso Asini, non proprio un film incentrato sullo sport, o a Coach Carter con Samuel L. Jackson, che ho in programma di presentare in uno dei prossimi post), assistiamo alla graduale trasformazione del protagonista. Questo giovane uscito da un ambiente disastrato è inizialmente scettico, ma gradualmente si lascia conquistare dallo spirito di squadra, sviluppando una passione autentica per uno sport che, ancora una volta, diventa metafora di vita e strumento di crescita personale. Infatti Il terzo tempo ci ricorda, con sensibilità e senza retorica, come lo sport possa essere un potente mezzo di integrazione e riscatto sociale. Proprio per questo, sono sicuro che il film vi farà venire voglia di correre in campo, palla ovale alla mano!
Il documentario sul rugby in Sardegna
Negli ultimi anni, il documentario si è rivelato essere un formato forse più efficace per raccontare il mondo del rugby italiano. Vita da rugby (2019) di Daniele Atzeni esplora la realtà delle piccole società rugbistiche in Sardegna. L´obiettivo dell´autore è quello di dimostrare come, in contesti sociali difficili, il rugby possa diventare un potente strumento di aggregazione e crescita per i giovani. Attraverso interviste e immagini di vita quotidiana, il documentario offre uno sguardo intimo e autentico su una realtà sportiva spesso trascurata dai media mainstream.
Le sfide della rappresentazione cinematografica del rugby
Mi fermo qui per non annoiare i lettori dei blog, ma ribadisco l´impegno di dedicarmi di nuovo al legame tra palla ovale e cinema, anche al di fuori di quello Italiano. Per tornare al tempo di questo post, bisogna riconoscere che, nonostante i casi di cui ho brevemente scritto, il rugby continua a faticare nel trovare un suo spazio stabile nel nostro cinema. Le ragioni sono molteplici. In primo luogo, naturalmente, la minore popolarità rispetto a tante altre discipline, soprattutto al calcio, il che si traduce in un minor interesse da parte dei produttori cinematografici. Poi si potrebbe aggiungere l´apparente complessità tecnica del rugby, le cui regole risultano spesso ostiche per un pubblico meno esperto, rendendo così complicate la narrazione filmica e la sua ricezione. Questo aspetto di fatto rafforza ancora la percezione del rugby come sport di nicchia, quasi „elitario“, anche dal punto di vista fisico, limitando quindi l´appeal su un pubblico più ampio.
Il futuro del rugby nel cinema italiano
Pur essendo, come sopra spiegato, un territorio in gran parte inesplorato per la nostra industria cinematografica, il rugby possiede senza dubbio ampie potenzialità narrative ancora da sfruttare. La sfida per i registi e gli sceneggiatori del futuro sarà quella di trovare nuovi modi di raccontare le storie di questo sport, andando oltre gli stereotipi e mostrando la complessità e la bellezza del rugby in tutte le sue sfaccettature. Quindi il futuro potrebbe riservare sorprese positive. Con la crescente visibilità del rugby in Italia, proprio anche grazie alle regolari partecipazioni degli Azzurri al Sei Nazioni e ai campionati mondiali (la prossima edizione è in programma in Australia per l´autunno 2027) si aprono nuove possibilità per il cinema. I valori intrinseci del rugby - rispetto, solidarietà, sacrificio, inclusione - offrono spunti preziosi per storie coinvolgenti e attuali. Inoltre, l'evoluzione delle tecniche cinematografiche potrebbe rendere più agevole la rappresentazione delle azioni di gioco, superando alcune delle difficoltà tecniche del passato. È il caso del citato esempio di „Il terzo tempo“, come le sequenze su partite e allenamenti stanno a dimostrare.
Che si tratti di film biografici su campioni del passato, di storie di riscatto attraverso lo sport, o di commedie ambientate nel mondo del rugby amatoriale, pertanto le possibilità sono infinite. Il campo è aperto per chi vorrà raccogliere la sfida e portare la palla ovale al centro del grande schermo italiano.
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