UNA MALATTIA CHIAMATA "TIFO"
- maximminelli
- 24 nov 2024
- Tempo di lettura: 9 min

„Mi innamorai del calcio come mi sarei poi innamorato delle donne: improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente, senza pensare al dolore o allo sconvolgimento che avrebbe portato con sé.“
Nick Hornby, Febbre a 90° (1992)
Due settimane fa mio figlio (13 anni) ha ricevuto il battesimo del fuoco in uno stadio di calcio. Invitato da un amico, per la prima volta in vita sua è andato a vedere una partita dal vivo. Un incontro di Regionaliga (campionato equiparabile alla serie D italiana) tra la squadra locale, il Carl-Zeiss-Jena, e gli ospiti del Babelsberg, quartiere di Potsdam. Nonostante il campionato non sia di primo piano, in questa città il calcio è molto sentito e il pubblico affolla sempre lo stadio, da poco rinnovato e trasformato in arena senza pista di atletica. La AdHoc Arena è stata ufficialmente inaugurata a fine luglio con un incontro amichevole proprio tra Carl-Zeiss-Jena e la Sampdoria, allenata da Andrea Pirlo.
Al termine della partita a cui ha assistito mio figlio, la squadra di casa è stata sconfitta (per la cronaca 1-2), ma la nuova esperienza è piaciuta molto al giovanotto. “Abbiamo perso”, ha esordito quando è tornato a casa: il primo segnale di un´identificazione con 11 sconosciuti in maglietta e calzoncini.
Non l´ho mai spinto a interessarsi al calcio, forse per evitare che diventasse un fanatico, quale ero io già prima della sua età. Tuttavia mi ha fatto piacere che abbia vissuto questa esperienza, forse rappresentativa dell'essenza stessa della passione sportiva: assistere a un evento in compagnia con tante altre persone accomunate dagli stessi sentimenti.
Che sia nato un amore? Sarà il tempo a dirlo. Non sono stato io, il padre, a indirizzarlo verso questa strada, come invece accade il più delle volte: come è accaduto nel mio caso, per esempio. Come in Febbre a 90° (Fever Pitch) il romanzo autobiografico di Nick Hornby dedicato alla sua personale passione per l´Arsenal di Londra, una delle squadre più antiche ed emblematiche del calcio inglese, i mitici “Gunners”. Pubblicato nel 1992 e premiato da un buon successo di pubblico, il libro di Hornby è poi diventato un film pochi anni dopo con lo stesso titolo (sia in originale che nella versione italiana).
Diretto da David Evans, alla sua prima regia, e uscito nel 1997, Febbre a 90° è una rielaborazione della narrazione autobiografica del libro: si ispira liberamente all´opera di Hornby, inventando di sana pianta i personaggi, tutti altamente credibili comunque. Nel ruolo del protagonista è Colin Firth, allora già molto noto nel cinema britannico, ma non ancora esploso sul panorama internazionale. Qui interpreta Paul Ashworth, scapigliato insegnante di inglese in una scuola popolare londinese, che divide gli impegni di lavoro con l´amore per il calcio, in particolare proprio per l´Arsenal. Tutto nella sua vita ruota intorno alla storica squadra, che finora dalla fondazione nel 1886 ha conquistato 13 titoli di campione nazionale, 14 F.A. Cup (la coppa d´Inghilterra) e altri trofei, risultando, ad oggi, il terzo club inglese con il maggior numeri di successi. Paul non si fa mancare nessun gadget (all´epoca ancora non così numerosi come oggi), nemmeno i boxer rossi con il simbolo dell´Arsenal: un cannone bianco.
La storia è ambientata alla fine degli anni Ottanta, periodo in cui i Gunners, dopo un lungo periodo senza successi con conseguenti amarezze e frustrazioni per i loro sostenitori, stanno avvicinandosi al ritorno alla vittoria nel campionato inglese. Ma con tante difficoltà e conseguenti sofferenze per i tifosi, che da anni non fanno che passare da una delusione all´altra. Da 18 anni non vincono un titolo nazionale, hanno assistito a stagioni modeste, costellate da tante finali di Coppa d´Inghilterra perse sul mitico terreno di Wembley. Con eccezione del 1979, a cui seguì la delusione a livello europeo, con la finale di Coppa delle Coppe terminata con la sconfitta di fronte agli spagnoli del Valencia.
Catturato da questa passione, Paul allena anche la squadra di calcio del suo istituto impegnata in un campionato scolastico. Non esita a litigare con arbitri e allenatori avversari, né a fornire consigli per trucchetti da usare durante le partite.
Insomma, non proprio un esempio da prendere (così penserebbe un pedante moralista…). Eppure è amato e stimato da alunni e genitori. Anche la carriera viene in secondo piano. La routine quotidiana della scuola è sufficiente per Paul, l´importante che gli lasci spazio sufficiente per seguire le partite della squadra del cuore e dedicarsi di tanto in tanto alle partite dei suoi allievi. Nemmeno la possibilità di un avanzamento lo sollecita più di tanto: sarebbe una distrazione dalla sua passione. I soldi in più? Neanche questi sono decisivi: lo stipendio che già prende gli basta per affitto, acquistare dischi e, appunto, l´abbonamento per lo stadio.
Come nel romanzo, anche il film risale alle origini della passione di Paul per l'Arsenal. Attraverso continui flashback, scopriamo che è stato il padre di Paul all'origine di tutto. Qui ritroviamo il tratto autobiografico di Nick Hornby. Infatti dopo il divorzio dalla madre di Paul, anche suo padre ha lasciato Londra per lavorare in Francia. Quando torna per rivedere i figli (Paul ha una sorella), gli propone qualche attività che possa soddisfare il loro interesse. Così, un sabato pomeriggio, conduce il figlio maschio con sé all'Highbury Stadium, il vecchio impianto storico dell'Arsenal (ora trasformato nel moderno Emirates Stadium). All'inizio Paul è scettico e non sembra molto interessato: per lui è già un evento poter trascorrere qualche ora con questo padre sempre più assente. Ma appena il ragazzo mette piede sulle tribune si accorge di essere entrato in un altro mondo che lo attrae e lo cattura per sempre.
Una comune storia di tifosi, insomma. La passione cresce di anno in anno, si radica nel giovane Paul che, nel frattempo, va all'università, e occupa gran parte delle sue giornate, del suo tempo libero, nonché dei suoi impegni lavorativi. Per lui il calendario va da agosto a maggio, cioè quando si svolge il campionato di calcio, non da gennaio a dicembre. Anche il padre, che, pur assente per la gran parte del tempo dalla vita del ragazzo, si aspetta che il figlio sia più interessato alle sue visite che non alle partite, cerca di ricondurlo alla realtà e ai rapporti personali. Niente da fare: Paul ormai è legato strettamente all´Arsenal, il padre non è così importante. Niente è più importante di undici uomini in maglietta biancorossa e calzoncini.
Finché non arriva una persona che mette decisamente alla prova il legame tra Paul e l'Arsenal. Il protagonista è adulto, almeno sulla carta, ma l´attaccamento alla sua squadra è ancora quasi infantile. Questa persona decisiva è Sarah Hugues (interpretata da Ruth Gemmell), una collega nella stessa scuola. I due non si piacciono inizialmente: lui la considera snob e altezzosa, lei lo trova un hooligan immaturo, non adatto quella professione. Con il passare del tempo, per fortuna, le distanze si accorciano e i due iniziano a frequentarsi, cercando di superare diffidenze e differenze. Finché non diventano una coppia.
L´amore è più forte del calcio? Forse sì. O forse è vero anche il contrario, se alla fine, nonostante litigi e incomprensioni, Paul e Sarah riescono a superare una separazione, ricucita proprio il giorno dell´atteso successo dell´Arsenal. 26 maggio 1989: al termine di un campionato entusiasmante fino all´ultimo secondo, i Gunners superano in trasferta all´Anfield Road i diretti concorrenti del Liverpool, grazie a un gol proprio agli sgoccioli. Dopo 18 anni l´Arsenal è di nuovo campione d´Inghilterra.
Indimenticabile la scena in cui Paul e Steve (Mark Strong, attore di origine italiana), il suo amico (e tifoso) del cuore, assistono alla rete decisiva sul divano di casa (l´incontro è trasmesso in diretta televisiva), finendo abbracciati sul pavimento. Pochi minuti prima, preso dalla frenesia da partita, Paul aveva mandato letteralmente a quel paese la sua fidanzata, Sarah, che aveva cercato di ricucire il rapporto. A dire la verità, il protagonista aveva solo sentito suonare al campanello e nel rispondere non si era accorto che davanti alla porta era proprio la sua donna. Appunto: frenesia e perdita di lucidità. Cioè: tifo.
Il quartiere intorno all´Highbury, dove Paul ha scelto di vivere (proprio per essere più vicino al suo Amore, cioè l´Arsenal, chiaramente), festeggia con migliaia di sostenitori dei Gunners la vittoria del titolo di campioni di Inghilterra. Nella ressa dei tifosi lui e Sarah si ritrovano e decidono di fare la pace rimettendosi insieme: in fondo lei aspetta un figlio, quindi sarebbe anche ora che il tifo facesse posto alle responsabilità da adulto. Così si potrebbe leggere la svolta finale, in un´ottica un po´conciliante. Nel finale del film veniamo a sapere che, tre anni dopo, effettivamente i due poi si sono sposati e hanno avuto un figlio. La voce fuoricampo di Paul ci assicura che la vittoria del campionato nel 1989 gli ha consentito di prendere le dovute distanze dall´amore per l´Arsenal. È ancora appassionato, segue spesso le partite allo stadio o in tv, ma, sostiene sempre Paul, ora sa distinguere tra vittorie e sconfitte personali e vittorie e sconfitte dell´Arsenal.
Happy End? Fa piacere pensarlo e niente lascia sospettare il contrario. Sicuramente, però, tutto fa presupporre che Paul condurrà l´erede sulla stessa strada: la passione per l´Arsenal. Anche questo possiamo pensarlo, e concederlo al protagonista. La domanda è: anche il figlio di Paul e Sarah sarà un tifoso ossessionato come il padre?
Come accennato, il film rielabora la storia autobiografica raccontata da Hornby nel suo libro. Lo stesso scrittore ha collaborato alla sceneggiatura, quindi poteva in prima persona assemblare minuziosamente la personalità e la vicenda del protagonista, dal suo precoce innamoramento per l´Arsenal alla maturità (per così dire) del tifoso Paul negli anni adulti. Nel mezzo tanti passaggi storici della tormentata storia del club londinese, ma anche del calcio inglese: anche nel film come nel libro, si cita esplicitamente la tragedia di Hillsborough, dal nome dello stadio di Sheffield, dove, 15 aprile 1989 in occasione della finale di F.A. Cup tra Liverpool e Nottingham Forest 96 tifosi trovarono la morte, schiacciati dalla marea disoridinata degli altri spettatori, mal gestita dagli organizzatori e dalla polizia. Una tragedia che fece tornare alla memoria al dramma dell´Heysel, di appena quattro anni prima, quando, ancora per una partita del Liverpool (finale di Coppa dei Campioni contro la Juventus) gli hooligans della squadra inglese di fatto provocarono la morte di 35 sostenitori italiani.
Della sua vera vita Hornby inserisce in sceneggiatura anche la sua, a dire il vero breve, carriera di insegnante, che invece ha una parte centrale nel film. Paul è un insegnante “alternativo”, proprio perché è un acceso tifoso di calcio. In più allena la squadra d´istituto e non esita a trasmettere ai suoi ragazzi tutta la passione e i trucchetti tipici di questo sport. Ma a scuola lo stesso Paul incontra Sarah, lì inizia il loro amore, apparentemente improbabile, a detta di tutti e due, viste le reciproche prime impressioni e diffidenze
Così lontani sono i mondi di Paul e Sarah, che anche ai loro amici un rapporto di coppia tra i due sembra altamente improbabile. Lui così ancora adolescenziale e indisciplinato, lei così professionale e rigida. Eppure. Eppure si mettono insieme e, dopo alti e bassi, decidono addirittura di andare a vivere sotto lo stesso tetto. Guarda caso nello stesso quartiere dove si trova lo stadio dell´Arsenal, lo storico Highbury. La scelta è ovviamente di Paul, ma Sarah è disposta ad accettare. Propro per amore.
Il racconto si articola su continui flash-back con spezzoni dell´infanzia e dell´adolescenza di Paul, quando il suo amore smisurato per l´Arsenal era nato casualmente, si era sviluppato e aveva messo le radici. Proprio come lo scrittore, anche Paul viene da una famiglia di genitori divorziati. Il padre lo aveva accompagnato per la prima volta allo stadio con lo scopo di passare un pomeriggio diverso con il figlio, che vedeva ogni tanto.
Febbre a 90° si può considerare, oltre che uno dei più riusciti film sul mondo del calcio, una delle migliori opere della vivace e brillante epoca dorata del cinema britannico degli anni Novanta, che ha visto il successo di pellicole come Trainspotting, Full Monty o, di tutt´altro genere e ambientazione, Quattro matrimoni e un funerale, solo per citarne alcune tra le più note. La sceneggiatura di Nick Hornby ha saputo distillare il meglio dal suo libro, con il tipo di dialoghi e situazioni che solo lui sarebbe stato in grado di realizzare, proprio perché vissute in prima persona: scambi concisi, precisi e veloci che caratterizzano i personaggi, il loro modo di pensare, il loro stato d'animo, oppure descrivono le situazioni in modo preciso e non complicato. Sono battute spesso secche, dirette, ma sempre efficaci.
In definitiva il film descrive in modo affettuoso e ironico questo fanatico del calcio, che si mette in discussione, a fatica, quando si rende conto che nella vita, forse, ci sono cose non dico più importanti dell´Arsenal, ma forse altrettanto. Come il rapporto con Sarah. Eppure sono evidenti le difficoltà che la dipendenza di Paul dai risultati dell'Arsenal comporta nel rapporto della coppia. Certo, agli occhi dello spettatore tutto risulta molto divertente. Ma si intuisce che nella realtà questo può essere un bel banco di prova, che i due, ma soprattutto Paul, faranno fatica a superare.
Le colpe dei problemi di coppia, tuttavia, non ricadono solo sulle spalle del protagonista. Anche la razionale Sarah, a volte un po´ predicatoria, all´inizio non è capace di di prendere sul serio la passione di Paul. Ma anche questo contribuisce a rendere il film divertente e, a suo modo, romantico. Così che Febbre a 90° non è una pellicola solo per appassionati di calcio, ma anche per chi con lo sport, e con questo in particolare, non ha niente da dividere. È un film sulle passioni, ma anche su come nei rapporti di coppia, se solidi, le distanze si possono accorciare.
È soprattutto, naturalmente, un film sul calcio, vissuto non sul campo, ma sulle tribune, davanti alla tv o alla radio, nei pub e nei bar, per le strade, sui banchi di scuola, nei campetti spelacchiati di periferia, in treno o sull´autobus. Il calcio di chi ha una “malattia” spesso cronica (ma guaribile, o quasi…), che provoca la febbre per novanta minuti (in realtà molti di più) e che può fare anche diventare felicissimi, come Paul e Steve al secondo gol dell´Arsenal. La malattia del “tifo”.
Comments